Quattro italiani su dieci accolgono in casa almeno un animale, spesso considerato come parte della famiglia. Eppure, sono ancora moltissimi gli animali vittima di maltrattamenti, traffici illeciti, abbandoni. Nonostante la legge 189 del 2004 abbia rappresentato un importante passo in avanti, ci sarebbe bisogno di ulteriori modifiche per garantire pene più severe ed efficaci contro chi maltratta gli animali. Abbiamo affrontato questi ed altri argomenti con la Lav; in particolare, hanno risposto alle nostre domande: Gianluca Felicetti, Presidente LAV; Ilaria Innocenti, responsabile LAV Area Animali familiari; Ciro Troiano, criminologo e responsabile LAV Osservatorio zoomafia; Paola Segurini, Area Scelta vegan.

Secondo il Rapporto Italia 2020, quattro italiani su 10 accolgono almeno un animale in casa (nel 2019 erano il 33,6%, nel 2018 il 32,4%). Il legame appare sempre più stretto e spesso gli animali sono considerati veri e propri figli. Eppure, il fenomeno dell’abbandono continua ad essere una piaga della nostra società. Secondo i vostri dati, ne sono vittima circa 130mila cani e gatti ogni anno. Perché questa contraddizione? E che cosa, secondo il vostro punto di vista, può spingere le persone che hanno animali a questo gesto orribile?
L’abbandono di animali è un fenomeno complesso con caratteristiche molto varie a seconda dei diversi contesti sociali e culturali, ma le cause che spingono ad abbandonare un animale hanno tutte un comune denominatore: l’inconsapevolezza che un cane o un gatto non è un oggetto, bensì un essere senziente con una propria vita emotiva relazionale e che, pertanto, la scelta di vivere con lui deve essere davvero responsabile. Tra i fattori più frequenti che determinano l’abbandono segnaliamo: la leggerezza con la quale si acquista o si adotta un cane o un gatto, senza valutare con consapevolezza e responsabilità l’impegno, in termini di tempo e spesa economica, che la vita con un animale comporta; la pessima idea di regalare cuccioli, ignorando che cresceranno e avranno necessità di cure e di attenzioni per tutta la loro vita, che può arrivare anche a 15-20 anni; le variazioni della composizione del nucleo familiare: separazioni o nascita di un bimbo e atteggiamenti irrazionali come il timore di contrarre malattie. Anche la vecchiaia o la malattia dell’animale sono fattori che inducono all’abbandono, proprio in una fase della vita nella quale cani e gatti hanno più bisogno di essere accuditi. Vi è poi l’arrivo di cucciolate “programmate” e non, alle quali non si è in grado di trovare una collocazione. Altre cause sono le vacanze, oppure, come nel caso dei cani da caccia, la loro “inidoneità” all’attività venatoria.
L’inadeguata applicazione delle misure previste dalla normativa per la tutela degli animali d’affezione e la prevenzione del randagismo, la scarsità di controlli sull’obbligo del microchip per i cani e scarse campagne educative – volte a promuovere un corretto rapporto tra uomo e animale e a favorire la sterilizzazione dei cani e dei gatti di proprietà come strumento indispensabile per debellare il fenomeno del randagismo – influiscono in maniera negativa sulla prevenzione dell’abbandono. Altro fattore importante riguarda l’identificazione dei gatti di proprietà non ancora obbligatoria: se anche i gatti fossero dotati di microchip sarebbero meno a rischio di essere abbandonati.

Sempre secondo il Rapporto Italia 2020, le persone sono sempre più predisposte a spendere di più per i loro amici animali. Uno su dieci arriva ad una spesa compresa tra i 100 e i 200 euro al mese. Sui prezzi del cibo e delle cure per gli animali, la Lav sta portando avanti una campagna, affinché lo Stato abbassi l’Iva su questi prodotti che attualmente è al 22%, come per i beni di lusso. Qual è stata fino ad ora la risposta?
La risposta dei cittadini è stata molto buona e in materia di detrazione fiscale abbiamo ottenuto un primo positivo risultato delle nostre campagne #ipiùtassati e #curiamolitutti. La Legge di Bilancio 2020 ha aumentato la soglia per la detrazione fiscale delle spese veterinarie sostenute per gli animali familiari da un massimo di 387,34 euro a un massimo di 500,00 euro. Ciò significa che, a fronte delle spese veterinarie sostenute per un totale di 500 euro o più, il cittadino potrà avere un rimborso fino a 73,59 euro (fino al 2019 il massimo rimborsabile era di soli 49,06 euro).

Un altro fenomeno sotto la lente di ingrandimento anche della Lav è il traffico di animali da compagnia: 96mila cuccioli entrano ogni anno in Italia con il traffico illecito. Ci descrive meglio questo fenomeno? Quali sono gli animali che rimangono maggiormente vittima di questo reato?
Il traffico dei cuccioli di cane e gatto, ma soprattutto di cane, dai Paesi dell’Europa dell’Est è un vero e proprio business che movimenta circa 300 milioni di euro all’anno, legato al valore economico degli animali. I cuccioli sono acquistati a circa 60 euro e venduti a prezzi anche fino a 20 volte superiori, una volta “trasformata” la loro origine da Est europea a italiana.
I giovanissimi animali, strappati alle cure materne verso i 30–40 giorni di vita e privi di certificati d’identificazione, o accompagnati da false certificazioni che attestano vaccinazioni e profilassi mai eseguite, viaggiano, anche fino a 48 ore, soprattutto di notte su mezzi di trasporto a volte locali a volte italiani, per essere poi venduti in negozi, allevamenti, on-line, oppure furtivamente ai caselli autostradali.
Il distacco precoce dalla madre causa al cucciolo traumi psicologici e specialmente problemi sanitari cui contribuiscono spesso le modalità di trasporto. Si stima che la mortalità sia intorno al 50% tra il trasporto e dopo l’arrivo in Italia.

Attraverso quali canali avviene il traffico? Chi lo gestisce?
Questo traffico illegale è reso possibile da organizzazioni strutturate (allevatori, trasportatori, negozianti, purtroppo anche veterinari, come accertato da sentenze di condanna) che si occupano di ogni fase legata alla vendita dei cuccioli: dall’acquisto fuori Italia, all’introduzione nel nostro Paese, alla contraffazione dei documenti, alla commercializzazione vera e propria. Talvolta, si tratta di vere e proprie organizzazioni criminali, la presenza dietro questo traffico di organizzazioni dedite ai commerci zoomafiosi, è confermata anche dal Rapporto Zoomafia della LAV. Ma il traffico di cuccioli è un fenomeno variegato. Accanto a queste organizzazioni molto strutturate ve ne sono di “amatoriali”, talvolta di tipo familiare, che gestiscono ogni fase, dall’acquisto fuori dall’Italia alla vendita nel nostro Paese. E vi è addirittura un traffico totalmente disorganizzato. È il caso di cittadini spesso stranieri che, per arrotondare i loro guadagni”, trasportano dai paesi d’origine cucciolate per venderle in Italia. Poi c’è quello delle “badanti”: i cuccioli sono nascosti sotto il sedile di furgoncini usati per il trasporto di cittadini stranieri in ingresso nel nostro Paese.

Che cosa prevede la legge in materia?
Il traffico illecito di animali da compagnia in Italia è un reato. A introdurlo è la legge n. 201 del 2010, “Legge di ratifica ed esecuzione della Convezione europea per la protezione degli animali da compagnia”, fatta a Strasburgo il 13 novembre 1987, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno. Con questa legge, fortemente voluta dalla LAV, che nel 2008 aveva indetto una petizione sottoscritta da decine di migliaia di persone, l’Italia si pone all’avanguardia in Europa nella repressione della tratta dei cuccioli, dotandosi di uno strumento importante per stroncare un mercato illegale che ha per vittime inermi cani e gatti in tenera età e fino al momento dell’entrata in vigore della citata legge non adeguatamente punito a causa delle carenze normative. Il modo migliore per contrastare l’illegalità resta comunque la presa di coscienza del cittadino: perché questo odioso fenomeno abbia veramente fine, è necessario che si smetta di mercificare la vita scegliendo sempre, all’acquisto, l’adozione da un canile o gattile.

Secondo il Rapporto Lav Zoomafia 2019, ogni 55 minuti in Italia, nel 2018, è stato aperto un fascicolo giudiziario per reati a danno di animali. Quali sono i reati più frequenti nei confronti degli animali?
Dall’analisi dei crimini contro gli animali consumati in Italia si evince che il reato più contestato è quello di maltrattamento di animali, art. 544ter C.p., con il 32,85% del totale dei procedimenti registrati. Le fattispecie sono diverse e vanno dal sottoporre gli animali a fatiche insopportabili per le loro caratteristiche etologiche alle percosse, dalle sevizie alla somministrazione di sostanze vietate. Sotto il profilo vittimologico, i casi registrati riguardano più frequentemente gli animali domestici, ovvero cani e gatti. I motivi sono diversi: sono le specie che vivono più a stretto contatto con gli umani, vivono nelle famiglie e sono comunemente accettate; questo però li espone anche ad aspetti negativi, come trascuratezza, incuria, violenza. Di contro, è più frequente la denuncia di un maltrattamento a danno di un animale familiare piuttosto che di quello perpetrato ai danni di altre specie, e questo perché, notoriamente cani e gatti sono gli animali che godono di maggiore simpatia, suscitano interesse e appeal e godono di una diffusa accoglienza.

Quali sono le Forze di polizia che indagano su questi illeciti?
Il maltrattamento di animali è un reato comune, di competenza di qualsiasi organo di polizia. Non vi è una competenza esclusiva e selettiva. Tuttavia, ci sono strutture specifiche che, per storia e specializzazione, sono chiamate più direttamente al contrasto di tali reati, come ad esempio i Carabinieri forestali o la Polizia locale. Ciò non toglie, ovviamente, il dovere-potere degli altri organi di Polizia di investigare e reprimere tali crimini.

La legge 189 del 2004 ha rappresentato, con la modifica del Codice penale, sicuramente un importante passo avanti nella prevenzione e repressione dei reati di maltrattamento degli animali. Tuttavia, andrebbe aggiornata al Trattato Europeo di Lisbona che ha riconosciuto gli animali come esseri senzienti e resa più efficace. La stessa Lav sta raccogliendo le firme per chiedere al Ministro della Salute, al Ministro dell’Economia e delle Finanze, al Presidente del Senato della Repubblica, al Presidente della Camera dei Deputati pene più severe ed efficaci contro chi maltratta gli animali. Ci spiegate meglio, quali sono le vostre richieste?
Grazie alle nostre Giornate nazionali del marzo 2019 intitolate #chimaltrattapaga, siamo riusciti a far “incardinare” il tema all’ordine del giorno della Commissione Giustizia del Senato. Ora, dopo le audizioni del novembre scorso nelle quali abbiamo potuto portare la voce degli animali nel Palazzo, oltre alle nostre buone ragioni anche giuridiche, gli ultimi due fine settimane di marzo siamo scesi nuovamente nelle piazze per ottenere l’approvazione del miglioramento del Codice penale con pene più severe ed efficaci contro i maltrattamenti degli animali.
La legge in vigore, infatti, ha 16 anni d’età, e va rafforzata e chiarita in alcuni punti, aggiornata al Trattato Europeo di Lisbona che, nel frattempo, ha riconosciuto gli animali come esseri senzienti. Per tutelare gli animali in quanto tali e non solo il “sentimento umano verso gli animali”, deve prevedere altre condotte a danno degli animali e fenomeni come la zooerastia, per fare applicare meglio la legge con misure di prevenzione personali e patrimoniali. E con più strumenti come, ad esempio, una procedura chiara della custodia giudiziaria degli animali che permetta alla Magistratura di non doverli lasciare agli stessi maltrattatori ma con spese a loro carico presso Centri riconosciuti di accoglienza degli animali sequestrati.
Una strada tutt’altro che in discesa, ma noi non molleremo finché non avremo portato a casa una revisione migliorativa che va fatta senza perdere tempo per poter salvare il maggior numero possibile di animali.

Un’ultima domanda: cito ancora una volta il RI 2020, secondo il quale vegetariani e vegani sono in aumento rispetto al 2019 e al 2018 arrivando a rappresentare l’8,9% della popolazione. Di questi, il 23,3% hanno fatto questa scelta per motivi di salute e benessere, il 22,2% per rispetto nei confronti degli animali, il 19,2% perché vuole mangiare meglio, il 17,2% perché lo stile alimentare fa parte di una più ampia filosofia di vita. Il 9,1% per curiosità, il 5,1% per rispettare l’ambiente. Pensate che questa scelta possa coinvolgere una fetta più ampia di popolazione nel futuro?
I sempre più frequenti appelli – da parte anche di autorevoli Istituzioni internazionali, quali IPCC e ONU – al cambio di comportamento individuale per far fronte all’emergenza climatica e l’accento sempre più forte sul contributo che il consumo di carne, con gli allevamenti e la richiesta di monoculture per mangimi, apporta in termini di impatto ambientale e costi climatici, aumentano l’attenzione a ciò che si mette in tavola. Le previsioni FAO vedono un raddoppio della richiesta di carne per il 2050 da parte di nazioni di nuovo benessere – come Cina e Brasile – mentre continuano ad essere pubblicati studi che indicano nel minor consumo di cibi di origine animale il modo più efficace per ostacolare la distruzione del Pianeta e l’esaurimento delle risorse. La risposta sta nel cambio di modello alimentare nei Paesi occidentali. In termini di stile di vita, aumenta – anche grazie a investigazioni in allevamenti e denunce – la consapevolezza delle conseguenze che il ciclo di “produzione” della carne ha sulle vite di miliardi di animali. Al contempo, i vantaggi – e i minori rischi che si corrono in termini di sicurezza alimentare – che un’equilibrata scelta alimentare vegan apporta alla salute, sono ormai noti. Diventa sempre più ampia la reperibilità di cibi proteici 100% vegetali e più facile e diversificata la loro introduzione in tutti i pasti della giornata, sia a casa che fuori casa, per tutte le età. La risposta ai gusti personali è immediata, tramite cucine etniche, fusion o semplicemente salutari, che tendono a evidenziare la naturalità di sapori e cotture. L’offerta è ricchissima, personalizzabile e compresa in un ventaglio che va dalle preparazioni vegetali della gastronomia tradizionale alle specialità “imitative” di nuova generazione – come i burger di Beyond Meat o simili, ormai introdotti nelle grandi catene mondiali di fast food – che rispondono alle esigenze di chi ha identificato gli hamburger come “comfort food”. In sostanza, a nostro parere, indietro non si torna, essere veg è sempre più semplice e la fetta di popolazione sarà sempre più ampia.

dal web

il fido custode, sepolture e cremazioni per animali d’affezione