L’associazione PETA lancia una nuova sfida: basta credere che gli animali siano di nostra proprietà, rivolgersi a loro come fossero oggetti, è tempo di rivoluzionare il linguaggio.

Di Coryse Farina, 6 feb 2020

Le parole, le espressioni e i modi di dire che utilizziamo quotidianamente hanno il potere di influenzare coloro che ci circondano.

Nel corso degli anni, la nostra società ha lavorato duramente per eliminare il linguaggio razzista, omofobo e intriso di pregiudizi di cui si faceva portavoce, tuttavia è ora di dire basta anche al linguaggio specista.

L’associazione no profit PETA per i diritti degli animali lancia un appello.

Una rivoluzione della lingua

«”Sgozzato come un maiale”, “Schiacciati come topi”, “Carne da macello”, “Ammazzato come un cane”, “Trattati come bestie”» sono solo alcune delle espressioni che quotidianamente vengono utilizzate dagli italiani per descrivere episodi particolarmente barbari e riprovevoli. Tuttavia, in genere ad essere coinvolti in questi atti, non sono gli animali bensì degli esseri umani.

Ingrid Newkirk, la presidentessa dell’associazione PETA lancia dunque un appello:

«Gli animali sono intelligenti e capaci di sentire gioia, sofferenza, tristezza e dolore. Il modo in cui parliamo di loro quindi deve adattarsi e riflettere una visione più moderna del loro status».

Gli animali non sono oggetti sui quali possiamo diffondere la nostra supremazia, quindi se abbiamo la possibilità di utilizzare un linguaggio più gentile, rispettoso e decoroso nei loro confronti, perché non farlo?

Alcune proposte di cambiamento

Oltre a bandire per sempre espressioni e modi di dire, PETA propone anche alcune trasformazioni nei termini stessi.

Tutti coloro che amano gli animali hanno tendenza ad identificarli come “animali domestici” e a definirsi essi stessi come i “proprietari” di questi ultimi.

Tutto ciò riduce gli animali allo stesso livello degli oggetti di cui siamo i proprietari; è solo grazie all’uomo che sono stati “addomesticati”. Riferisi e pensare agli animali come degli oggetti inanimati piuttosto che degli esseri sensibili capaci di intendere e di volere, mostra fino a che punto è necessario un cambiamento.

Basterebbe parlare di “compagni di vita” piuttosto che “animali destinati alla compagnia dell’uomo”, ed autodefinirsi come “tutori” o “custodi” piuttosto che “proprietari”.

Gli accorgimenti sono davvero minimi, ma col tempo sono destinati a fare la differenza.

Scegli anche tu parole ed espressioni che non normalizzino l’abuso e lo sfruttamento, ma al contrario mostrino rispetto verso la specie animale! Di’ a quelli che ti circondano che le parole contano.

il fido custode, sepolture e cremazioni per animali d’affezione